FRODE E USURA: NORMALITA’ BANCARIA
Il problema dei
banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene
presentato dai mass-media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come
circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività
bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di
controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le
falsità in bilancio (come pure i c.d. prestiti predatori e quelli fatti
a società di amici, che non li rimborseranno), sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e
il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di
crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo
perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità
di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro
potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la
regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto
una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in
default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro
superiori a smerciare ai risparmiatori titoli bidone, sotto minacce
varie. La lista delle banche decotte si sta allungando rapidamente, e
continuerà ad allungarsi. Probabilmente il fenomeno verrà pilotato per
sopprimere banche locali e territoriali, in favore di quelle più ampie,
quindi più centralisticamente controllabili.
La classe
finanziaria, da quando esiste (cioè dalla prima Guerra Punica) ad oggi,
si è sempre industriata per creare nuovi strumenti giuridici,
finanziari, e recentemente anche tecnologici, con cui incrementare (e
possibilmente legalizzare) le frodi e l’usura verso i propri clienti, il
fisco, le pubbliche amministrazioni. Lo ha fatto pagando la politica e
gli organi di controllo, e stringendo alleanze di potere. Nei secoli.
Pensiamo solo a come i banchieri, anche i più grossi, in tempi recenti
hanno fregato gli enti pubblici con i contratti derivati costruiti da
esperti per buggerare contraenti. I governanti del tempo lo sapevano, ma
non intervennero, se non con un decreto ambiguo, che permetteva la
continuazione delle frodi.
In particolare,
negli ultimi decenni, attraverso un metodico lavoro di lobbying sulla
classe politica, tra le altre cose utili a questi scopi ha ottenuto dal
legislatore, negli anni ’90, il ripristino della banca universale, cioè
l’abolizione della separazione tra banche di credito e risparmio e
banche di investimento finanziario, nonché, dagli anni ’80 fino
all’ultima riforma renziana, la privatizzazione graduale della gestione
del finanziamento del debito pubblico e della Banca Centrale di
emissione (vedi il golpe monetario del 16.12.06 e la riforma-regalo del
DL 133/2013, che ho analizzato rispettivamente nei saggi Euroschiavi e Sbankitalia).
Con la prima delle
due riforme, i banchieri si sono fatti autorizzare a usare, con leve
temerarie, i soldi dei depositanti per compiere azzardate speculazioni
in vere proprie truffe sui mercati finanziari regolati e non, mandando
spesso le banche a gambe all’aria dopo averne estratto l’attivo
patrimoniale ed esserselo intascato, distribuendone parte come bonus ai
gestori criminali. Con la seconda riforma, si sono fatti controllori di
se stessi – quindi è da sciocchi meravigliarsi se le banche centrali, da
loro controllate, anziché impedire questi abusi, li nascondono e li
agevolano. Aggiungiamo che, direttamente e indirettamente, la Banca
d’Italia è ora partecipata maggioritariamente da finanzieri stranieri.
Ovviamente, questo esito non poteva non essere previsto e voluto. I
banchieri sono i padroni che pagano più di tutti.
Con queste premesse,
viene da sé che anche la “giustizia” non punisca praticamente mai i
banchieri delinquenti. E che anzi la politica si impegni per togliere
alla popolazione l’uso della moneta cartacea, emessa dalla banca
centrale, per imporle l’uso di quella elettronica, che è creata a costo
zero dai banchieri privati e che questi possono azzerare semplicemente
con un click del mouse. Se pensiamo a quanto inaffidabile (e in
conflitto di interessi con la gente) si è dimostrata la classe dei
banchieri, la scelta di affidarle addirittura la creazione e il
mantenimento in esistenza della moneta – bene pubblico essenziale –
manifesta concretamente quanto è servile e criminale la c.d. casta
politica. Se non lo fosse, tutelerebbe i depositanti in un modo
semplicissimo: farebbe una legge in base alla quale i soldi depositati
in banca, salvo diverso accordo, rimangano di proprietà del depositante,
e non divengono di proprietà della banca (come avviene oggi): in tal
modo, quand’anche la banca fallisca, i depositi sarebbero al sicuro. E
farebbe una seconda legge per ripristinare la legge Glass-Steagall e
per nazionalizzare la banca centrale e magari anche le banche di
importanza strategica. Invece questi politicanti complici hanno
costruito un sistema in cui la gente comune e gli imprenditori, devono
depositare il denaro in banche che da un lato non remunerano i depositi
(né le obbligazioni) con ragionevoli tassi di interesse, e dall’altro li
possono arrischiare in operazioni pericolose o addirittura sottrarli
(per esempio, mediante acquisizioni fraudolente, come quella
multimiliardaria della Banca Antonveneta, fino a perderli, senza mai
pagare il fio.
Quando oggi si parla
all’opinione pubblica del problema della sicurezza bancaria e della
necessità di riforme, tutte la questione viene appiattita sul presente,
sui fatti ultimamente occorsi, e presentata in modo cronachistico,
aneddotico. Dalla narrazione viene rigorosamente tenuta fuori la
suddetta realtà strutturale, la prospettiva storica dei
rapporti tra banchieri, frodi, politica, legislazione, e gli ultimi
episodi, dal disastro-scandalo del Monte dei Paschi di Siena, vengono
presentati come novità, incidenti, azioni individuali, anziché come
episodi di una vicenda che va avanti da secoli, e in cui il potere
finanziario ottiene sempre la meglio, cioè riesce a continuare il suo
business, perché lavora con metodo, perseveranza e orizzonti di lungo
periodo. Eppure sono molti decenni che avvengono bancarotte bancarie e
che ogni volta i tromboni istituzionali promettono che è stata l’ultima
volta. In effetti, la gente comune preferisce e capisce meglio le
narrazioni giornalistiche in chiave aneddotica e morale, emotiva, dove
ci sono colpevoli individuali con cui prendersela, che le complesse e
lunghe analisi economiche, strutturali, che spiegano le cose in termini
di fattori impersonali.
Alle volte, dopo
crisi di particolare gravità socio economica, avvengono reazioni
politiche che lanciano riforme per tutelare gli interessi dell’economia
reale, dei lavoratori, dei risparmiatori, contro quelli della rapace
classe bancaria. Così fu, nella Roma antica, con certe riforme dei
Gracchi e, in tempi recenti, con la legislazione del tipo Glass-Stegall,
la quale, a seguito della crisi del ’29, nella metà degli anni ’30,
impose in molti paesi la separazione tra banche di credito e risparmio e
banche di investimento finanziario.
Ma dopo simili
riforme, ogni volta, nel medio-lungo periodo, attraverso il suo metodico
lavoro di condizionamento e di corruzione, la classe bancaria (che, a
differenza del popolo, è organizzata, attenta e consapevole, nonché
lungimirante), regolarmente aspetta che le acque si siano calmate, che
l’attenzione della gente si sia diretta altrove, e recupera le posizioni
perdute neutralizzando le riforme che ne limitano la libertà di azione e
profitto, e avanza verso nuove conquiste di potere e sfruttamento sulla
società.
Proprio
quest’ultima, interminabile crisi economica, con i suoi banchieri
super-truffatori che diventano ministri e capi di governo per gestire i
disastri da loro stessi creati, e addirittura dettano le regole della
sana economia, è l’apoteosi di quanto sopra, e ha trasferito ampie quote
del reddito nazionale dai lavoratori e produttori di ricchezza reale ai
capitalisti finanziari improduttivi, impadronendosi anche di ulteriori
quote di potere politico.
Se teniamo presente
questa realtà storica, le odierne promesse del governo di fare una
riforma del settore del credito nell’interesse dei risparmiatori e a
tutela dei loro diritti, appaiono essere pura ipocrisia, l’ennesima
frottola da piazzista di provincia – anche senza bisogno di
ripercorrere la storia del suo partito politico, e dei suoi alleati
cattolici, in relazione alle riforme fatte in materia bancaria dagli
anni ’80 ad oggi, tutte meticolosamente studiate per consentire ai
banchieri lucrosi abusi di ogni sorta a spese della società civile e
produttiva. Le fortune dei politicanti derivati dal vecchio PCI sono
dovute proprio alla loro alleanza strutturale col capitalismo
finanziario, con la sua capacità di
pagare-comprare-remunerare-finanziare i suoi servitori più di ogni altro
gruppo organizzato, e coi suoi interessi contrapposti al resto della
società. Contrapposti, perché per il capitalismo finanziario le crisi
economiche e le guerre sono storicamente le migliori opportunità di
profitti ed affermazione.
In conclusione, è ovvio rilevare come, anche alla prova dei fatti, il
dogma dell’indipendenza dei banchieri centrali dai poteri pubblici come
condizione per una sana finanza, tanto caro agli europeisti, fa acqua
da tutte le parti. Non solo perché quei banchieri centrali, di
fatto, stanno dando migliaia di miliardi gratis ai banchieri per
operazioni finanziarie mentre non fanno arrivare liquidità all’economia
reale, ma anche perché in realtà questo dogma è servito a rendere le
banche centrali indipendenti dei controlli pubblici, però (guardacaso!) dipendenti
e possedute dai banchieri privati, in modo che questi possono fare
quello che vogliono anche con risparmio dei cittadini, controllando
l’organo che dovrebbe controllarli, e continuando a presentare bilanci
aggiustati ad arte per nascondere le perdite.
(Marco Della Luna, “Frode e usura, normalità bancaria”, dal blog di Della Luna del 24 dicembre 2015).
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