Tra
le varie manifestazioni di grave imprudenza del Sommo Pontefice
Francesco I v’è anche l’ostinazione senile a perseverare testardamente
ad interloquire con un soggetto pericoloso come Eugenio Scalfari,
costringendo poi gli organi ufficiali della Santa Sede a fare la
pubblica figura degli utili idioti quando non potendo essi
affermare che la Chiesa oggi è in mano ad un perfetto imprudente ed
incosciente, si arrampicano sugli specchi per spiegare che
l’interlocutore non ha ben compreso, o che quell’incontro era solo un
colloquio privato e non un’intervista. Ebbene domando, Signori degli
organi ufficiali della Santa Sede: ritenete — beninteso è solo un
esempio accademico! —, che dinanzi ad un monarca più pazzo di Re Giorgio
III di Hannover, la cosa migliore da farsi sia forse quella di prendere
in giro il popolo spiegando ad esso che sono gli altri ad avere
equivocato, mentre questi si presentava saltellando vestito della sola
camicia da notte bianca nella sala del trono a ricevere i più alti
dignitari della Camera dei Lords in visita ufficiale?
..

Ariel S. Levi di Gualdo
.

Liutprando vescovo di Cremona, agli inizi del X secolo, nel suo De rebus gestis Ottonis Magnis Imperatori, riporta
una frase attribuita a questo famoso monarca che sul giovane Pontefice
Giovanni XII [Roma 937 – Roma 964], eletto al sacro soglio nell’anno 955
all’età di appena diciotto anni, ebbe a dire:
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«Puer inquid, est, facile bonorum immutabitur exemplo virorum,
che tradotto significa: «Il Papa è ancora un ragazzo e si modererà solo
con l’esempio di uomini nobili» [testo originale leggibile QUI]
.
Da allora ad oggi sono trascorsi più di mille anni,
ma ogni tanto la storia riserva delle strane sorprese, ed in modi
diversi nella forma, simili però nella sostanza delle diverse persone,
purtroppo si ripete. E, come ci insegna la sapienza greca, se l’epico
inizio è stato segnato dalla nobile tragedia, la fine — o come nel
nostro caso ecclesiale ed ecclesiastico la decadenza irreversibile — è
segnata invece da quella satira che tutto quanto annega nel ridicolo.
Detto questo preciso: chiunque intenda dissentire da questo dato di
fatto, non se le prenda con me, ma con la storia greca, i greci e la
loro letteratura. Io mi sono limitato soltanto a riportare un dato di
fatto che nessuno studioso che sia veramente competente e serio può in
alcun modo negare e smentire.
.
Così, nella satira in cui ormai siamo sprofondati, siamo stati scossi proprio
all’inizio del Triduo Pasquale dalle parole pubblicate dal fondatore
del quotidiano La Repubblica, che ha attribuito al Sommo Pontefice
Francesco I delle espressioni che toccano il cuore stesso del mistero
della salvezza:
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«Santità»
― domanda Eugenio Scalfari ― «nel nostro precedente incontro lei mi
disse che la nostra specie ad un certo punto scomparirà e Dio sempre dal
suo seme creativo creerà altre specie. Lei non mi ha mai parlato di
anime che sono morte nel peccato e vanno all’inferno per scontarlo in
eterno. Lei mi ha parlato invece di anime buone e ammesse alla
contemplazione di Dio. Ma le anime cattive? Dove vengono punite?». A
questa domanda il Sommo Pontefice avrebbe risposto: «Non vengono punite,
quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila
delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non
possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno,
esiste la scomparsa delle anime peccatrici» [vedere testo, QUI, QUI].
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Pure il più superficiale conoscitore del Catechismo della Chiesa Cattolica
capisce che in questa risposta sono racchiuse gravi eresie non formali
ma sostanziali. Poco dopo la diffusione del testo — con tutto ciò che
questa notizia ha comportato e scatenato nella giornata del Giovedì
Santo — giunge la smentita della Santa Sede:
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«Il Santo Padre Francesco ha ricevuto recentemente il fondatore del quotidiano La Repubblica in
un incontro privato in occasione della Pasqua, senza però rilasciargli
alcuna intervista. Quanto riferito dall’autore nell’articolo odierno è
frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole
testuali pronunciate dal Papa. Nessun virgolettato del succitato
articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione
delle parole del Santo Padre» [ testo ufficiale QUI].
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Pacifico il fatto che la toppa è peggio dello strappo, dato che l’ennesima sberla è giunta comunque sulla faccia dei Christi fideles
all’inizio del Triduo Pasquale, mentre il Sommo Pontefice è impegnato
in quello che ― e lo dico senza irriverenza ― potremmo definire come il teatrino ideologico bergogliano meglio noto come la sciacquata dei piedi in carcere, fatta indistintamente a uomini e donne, cristiani e non cristiani. Su questo teatrino non intendo ripetermi, ne ho già scritto in passato ed in toni tutt’altro che ironici [vedere articolo QUI].
Basti infatti ricordare che in questo giorno santo, noi presbiteri,
festeggiamo la istituzione del Sacerdozio e della Santissima Eucaristia;
anche se questo giorno è stato ormai mutato dal Pontefice regnante nel tripudio bergogliano della pedicure al carcerato.
.
Reputo purtroppo inutile ricordare al Sommo Pontefice
― che come scrissi di recente non è neppure una psicologia provinciale,
poiché appartenente a quella sotto-categoria del provincialismo che è
il quartieralismo [vedere articolo QUI] ― che questo gesto contenuto nel Vangelo del Beato Apostolo Giovanni acclamato proprio nella Missa in Coena Domini
[cf. Gv 13, 1-15], dal Cristo Signore è compiuto sugli Apostoli scelti
come Sacerdoti della Nuova Alleanza e come ministri dispensatori e
custodi della Santissima Eucaristia.
.

E mentre pel gaudio dei membri del Partito Radicale,
nella logica dei quali non sussiste il concetto “povere vittime dei
reati”, bensì “poveri carcerati che i reati li hanno commessi” — il
tutto secondo la stessa diabolica logica del “povere donne che hanno
abortito”, mai invece “poveri bambini uccisi dalle loro madri con
l’aborto” —, il Sommo Pontefice ha di nuovo ignorato che nella sua
stessa Diocesi di Roma vi sono Vescovi e Presbìteri anziani, infermi e
gravemente ammalati, che hanno trascorso le loro esistenze a servire la
Chiesa di Cristo e ad essere fedeli dispensatori dei Sacramenti di
grazia. Alcuni sono ricoverati in ospedale, altri vivono in strutture
clinico-geriatriche perché non più autosufficienti e per questo
bisognosi di essere assistiti anche per recarsi semplicemente ai servizi
igienici, ammesso vi si possano recare e che non debbano invece
espletare i propri bisogni corporali a letto, con l’assistenza che ciò
richiede e con tutto il senso di disagio e di umiliazione che questo
comporta per qualsiasi essere umano. In ogni caso, ciò che solo importa è
che il Sommo Pontefice — che da subito s’è dichiarato proveniente
dall’altra parte del mondo e che dopo questo annuncio non ha tardato a
cominciare a far cose dell’altro mondo —, vada a sciacquare i piedi a
dei giovanottoni in perfetta salute fisica che in carcere non si trovano
per ingiustizia, ma perché hanno commesso crimini di vario genere;
perché hanno usato violenza verso altri esseri umani, hanno derubato
persone dedite all’onesto lavoro, comprese persone che stentano a far
giungere le proprie famiglie alla fine del mese, hanno spacciato droga,
hanno sfruttato la prostituzione, hanno commesso stupri e via dicendo,
ed il tutto, beninteso, con buona pace dei membri del Partito Radicale
che inneggiano al ”povero carcerato” ed altrettanta buona pace del
Pontefice regnante che va a sciacquare i piedi a questi angeli di Dio.
.
A tutti noi il Sommo Pontefice dovrebbe insegnare che
Cristo Signore ci esorta dicendo: «ero carcerato e mi avete visitato»
[cf. Mt 25, 36]. Cristo Signore non afferma affatto: «ero carcerato e mi
avete lavato i piedi», perché i piedi, Cristo Dio, li ha lavati solo
agli Apostoli da Lui scelti e da Lui consacrati Sacerdoti della Nuova
Alleanza, tutto il resto è da considerare solo una sorta di moderno
Vangelo apocrifo che potremmo ragionevolmente titolare “Il Vangelo
secondo Jorge Mario Bergoglio”.
.

È per ciò legittimo chiedersi come mai,
il Giovedì Santo, il Pontefice giunto dall’altra parte del mondo che
pare anelare a far cose dell’altro mondo, per dare esempio di umiltà e
di quello spirito di servizio al quale ci esorta Cristo Signore lavando
Egli per primo i piedi ai suoi discepoli ― e si noti, ai suoi discepoli,
non ai carcerati né alle puttane di Gerusalemme ―, non si rechi invece
presso qualche centro di geriatria a porgere il pappagallo per le orine o
la padella per defecare a qualche santo Vescovo e Sacerdote infermo che
ha trascorso tutta la propria vita a servire Cristo e la sua Chiesa,
non certo a rubare, a stuprare, a lucrare sulla prostituzione ed a
spacciare droga come gli angeli di Dio resi oggetto della liturgia bergogliana dello sciacquo annuale dei piedi.
Detto questo aggiungo: l’uomo Jorge Mario Bergoglio, giunto dall’altra
parte del mondo e di fatto cimentato da cinque anni a far cose
dell’altro mondo, alla propria coscienza di uomo e di Successore del
Principe degli Apostoli dovrebbe rivolge questa domanda: mentre lui
trovava tempo e forse anche diletto a ricevere Eugenio Scalfari,
dispensando ad esso un tempo prezioso che da Dio è stato concesso alla
Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice Francesco I per
ben altri scopi e alte missioni, quante volte è stato informato che
Vescovi e Sacerdoti, inclusi diversi di sua diretta e stretta
conoscenza, erano ricoverati in ospedale, erano stati sottoposti a
grandi ed invasivi interventi chirurgici, o che si trovavano in degenza
presso i vari centri di riabilitazione e via dicendo a seguire? E quante
volte, la Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice
Francesco I, sebbene informato, si è ben guardato dal prendere il
telefono ― del quale da sempre fa ampio uso e abuso ― per rivolgere a
costoro un augurio ed un segno di apostolica vicinanza, proprio come
fece chiamando persino due figli di Lucifero del calibro di Marco
Pannella ed Emma Bonino, invitandoli diversamente a «tenere duro»,
sebbene non si sappia su che cosa il padre e la madre dell’aborto,
dell’eutanasia, delle sperimentazioni genetiche, dell’omosessualismo,
del matrimonio tra coppie delle stesso sesso e dei bambini dati ad esse
in adozione o dalle stesse acquistati da uteri in affitto, avrebbero
dovuto e dovrebbero seguitare a «tenere duro»? [cf. QUI, QUI].
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Il tutto a riprova che per la prima volta nella storia ci
troviamo a fare i conti con un legittimo Successore di Pietro che
rischia di entusiasmare tutti i peggiori nemici di sempre della Chiesa e
del Cattolicesimo, salvo creare sconcerto e smarrimento nei Christi fideles, mentre Eugenio Scalfari ― e non solo lui ―, inneggia al Papa rivoluzionario, in coro con quell’altra brutta persona di Antonio Spadaro, che fa da controcanto inneggiando al «leader rivoluzionario» [cf. QUI],
entrambi ignari che il concetto di «rivoluzione» e «rivoluzionario» non
è applicabile alla Chiesa ed al papato. Farlo comporterebbe infatti
confinare la Chiesa per un verso, il papato per altro verso, entro
schemi e riduttive logiche socio-politiche tutte quante mondane, legate
ad un presente fondato sul tutto e subito e non teso verso
alcuna prospettiva escatologica. E fu proprio questo duemila anni fa
l’errore di certi giudei, che nel Cristo intendevano vedere quel
“rivoluzionario” che li avrebbe liberati dal dominio romano, mentre ben
più alta era la sua missione: liberarli dal peccato, sino a divenire
l’Agnello di Dio che lava il peccato dal mondo [cf. Gv 1, 29-34]. Tra
questi, uno che nel Cristo vedeva un leader di tal fatta, un
rivoluzionario, un capo popolo liberatore, ma rimanendo molto deluso nel
capire quanto Egli non fosse né intendesse esser tale, era un
personaggio noto come Giuda Iscariota, una sorta di socio-politologo
alla Antonio Spadaro di venti secoli fa, il quale perlomeno, dopo avere
tradito il Divino Maestro, non si mise a lanciare tweet
sconclusionati e interviste che sovvertono i principi basilari della
ecclesiologia. Infatti, Giuda Iscariota, con un gesto per così dire
“coerente” e drammatico s’impiccò, cosa che avvenne perché egli era un
giudeo a suo modo “coerente” con la propria totale chiusura alle azioni
di grazia del Cristo, non era un gesuita trasformista sulla cresta
dell’onda del momento, convinto che questo momento non passerà mai,
perché la cosiddetta «rivoluzione» si baserebbe a dire di costoro su dei
«mutamenti epocali irreversibili». Ricordiamo infatti al povero
Spadaro — ma di passaggio anche al Preposito generale della Compagnia di
Gesù Padre Arturo Sosa, dichiaratosi più volte amenamente affetto da
orticaria dinanzi alle rigidezze della dottrina — che irreversibili,
nella Chiesa di Cristo, sono solo quei dogmi della fede che oggi taluni
Giuda vorrebbero reversibili per meglio imporre i propri dogmi umani,
talvolta anche apertamente diabolici. Tutto questo in nome della loro
celebrata e sfacciatamente dichiarata irreversibilità, costruita su un
momento presente che non deve passare, perché è il tutto e subito
che a loro interessa, non le cose ultime ed eterne. E queste, a ben
pensarci, sono le forme e le espressioni dell’ateismo peggiore:
l’ateismo ecclesiastico.
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Della personalità del Sommo Pontefice Francesco I,
ad inquietarmi è quella sua grave mancanza di prudenza che solo i
ciechi ed acritici sostenitori della giustezza e della opportunità di
ogni suo pur minimo sospiro, non vogliono proprio e in alcun modo
vedere; così come, per altri motivi più gravi assai, non vogliono
vederla i cortigiani ruffiani anelanti all’agognato scatto di carriera,
per giungere al quale oggi si sono ammantati di poveri, di povertà, di
profughi e di periferie esistenziali. E, tra le varie manifestazioni di
grave imprudenza del Sommo Pontefice Francesco I v’è anche l’ostinazione
senile a perseverare testardamente ad interloquire con un soggetto
pericoloso come Eugenio Scalfari, costringendo poi gli organi ufficiali
della Santa Sede a fare la pubblica figura degli utili idioti
quando non potendo essi affermare che la Chiesa oggi è in mano ad un
perfetto imprudente, si arrampicano sugli specchi per spiegare che
l’interlocutore non ha ben compreso, o che quell’incontro era solo un
colloquio privato e non un’intervista. Ebbene domando ai Signori degli
organi ufficiali della Santa Sede: ritenete — beninteso è solo un
esempio accademico! —, che dinanzi ad un monarca più pazzo di Re Giorgio
III di Hannover [cf. QUI],
la cosa migliore da farsi sia forse quella di prendere in giro il
popolo e di trattarlo come un insieme di perfetti cretini ai quali
spiegare che sono solo gli altri ad avere equivocato, mentre Sua Maestà
si presentava saltellando vestito della sola camicia da notte bianca
nella sala del trono a ricevere i più alti dignitari della Camera dei
Lords giunti in visita ufficiale? Voi lo capite, Signori degli organi
ufficiali della Santa Sede, che siffatta corsa di Giorgio III nella sala
del trono in camicia da notte, è cosa meno folle e soprattutto meno
imprudente rispetto alla testarda ostinazione da parte del Pontefice
regnante a voler in tutti i modi interloquire con un soggetto come
Eugenio Scalfari?
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Partiamo allora da San Tommaso d’Aquino,
tramite il quale possiamo apprendere quanto la prudenza abbia una sua
precisa collocazione che procede attraverso una definizione altrettanto
precisa: «Prudentia est auriga virtutum» [Summa Th. I-II,
q.58 a.5]. La prudenza è il carro che traina tutte le altre virtù
cardinali [cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1806], è la genitrix virtutum,
la guida e la madre di tutte quante le virtù morali, in assenza della
quale nessuna di queste virtù possono giungere a quel loro atto formale e
sostanziale che è il retto comportamento virtuoso. Non è affatto
sufficiente il desiderio di voler essere giusti e temperanti, perché
occorre cogliere e poi seguire quella linea di condotta mediante la
quale si realizzano e si concretano la giustizia o la temperanza. Senza
questa azione, che è propria della prudenza intesa come auriga virtutum e genitrix virtutum, le
altre virtù rimarrebbero solamente lettera morta, perché non potrebbero
esprimersi, non avrebbero proprio come esprimersi, quindi non
giungerebbero mai a consolidarsi nella persona rendendola veramente e
autenticamente virtuosa, meno che mai giusta.
.
Alla scuola dell’Aquinate apprendiamo
così che la prudenza non è soltanto la prima tra le virtù cardinali,
perché essa, le altre virtù, le guida tutte, in quanto «ratio connectionis virtutum moralium». Dunque la virtù
della prudenza possiede questa autonomia dell’ordine morale naturale.
In entrambi gli ordini vi è una virtù connettente, cioè una virtù che
connette tutte le altre, dà la forma — per così dire — alle altre virtù.
E l’Aquinate dice ancora che nelle vicende che riguardano l’operare, in operationibus, o l’agire, in agilibibus,
la forma si prende o si desume dal fine. Perciò quella virtù che più da
vicino dispone al fine ultimo dell’esistenza umana, è la virtù che dà
la forma alle altre virtù e le connette tra loro [su prudenza e connessione, cf. Tomas Tyn, O.P. Lezioni sulla Prudenza, Bologna, 1988].
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L’uomo privo di ragionevolezza si
comporta pertanto in modo eccessivo, indugiando alla umoralità ed alla
irrazionalità. E, indugiando in questi eccessi, l’uomo privo di
ragionevolezza non riesce a moderarsi e ad adeguarsi alla misura ed al
reale, sino a cadere per inevitabile e logica conseguenza nello
squilibrio e nel surreale, perché l’uomo irragionevole è sempre e di per
sé un uomo privo di misura, scisso dalla realtà e quindi povero o privo
di equilibrio. Sinceramente, analizzando la personalità ed i fatti,
temo che l’uomo Jorge Mario Bergoglio sia carente di equilibrio e che —
come ebbi a scrivere oltre un anno fa — «i veri “dubia” sono quelli circa la sua lucidità mentale, però nessuno lo dice» [cf. QUI].
E nessuno lo dice, tra l’esercito di pavidi clericali che imperversa
oggi nella Chiesa, pur se i fatti dimostrano che egli crea divisioni
spesso anche gravi e drammatiche, non offre al Popolo di Dio certezze ma
dubbi, alla chiarezza richiesta dal linguaggio dottrinale preferisce
anteporre espressioni ambigue interpretabili a doppio senso, generando
in tal modo sbandamento nei Vescovi, nei Presbiteri e nel corpo dei Christi fideles. Accarezza
i lupi rapaci, solidarizza e mostra grandi aperture verso le pecore
disperse nelle praterie delle eresie luterane, salvo prender poi a
bastonate le pecore fedeli rimaste dentro il cattolico ovile. È capace a
dire in modo deciso e chiaro “si” o “no”, solo quando si tratta di
quegli elementi che vanno ormai letti nell’ambito delle sue nevrosi
ossessive: profughi, migranti, poveri ideologici ed ecologia, mentre su
tutto l’altro resto, incluse delle norme basate su verità di fede,
impera il “forse” e alla fine il peggiore e più devastante “fate voi”.
Ha mostrato verso il mondo islamico un ossequio a dir poco improvvido,
ha ripetutamente definito l’Islam come religione di pace e di amore,
ignorando totalmente, in modo pericolosamente acritico, ch’esso nasce e
prende vita da un complesso assembramento di messaggi mescolati assieme
da un falso profeta, ed ignora altresì che proprio in virtù dei non
pochi figli violenti e assassini che prendono le mosse da questa
religione di pace e di amore, tutti i dintorni della Città del Vaticano
sono blindati per evitare attacchi terroristici. Ignora altresì che la
storica Via della Conciliazione, ininterrottamente aperta dal 1929 sino
ai giorni recenti, è stata chiusa al traffico con colonnine di cemento e
ringhiere di ferro poste al suo inizio per evitare che qualche
fondamentalista islamico, in nome della pace e dell’amore, s’intende, si
lanciasse con un mezzo imbottito di cariche esplosive in direzione
della Piazza San Pietro in mezzo alla gente, o meglio tra gli infedeli.
Ora, siccome i fatti non passibili di facile smentita sono questi, mi
domando: come possiamo parlare di costui come di un uomo prudente ed
equilibrato? Non parliamo poi dell’uomo di governo che mostra ormai da
anni di essere capace a scegliere una appresso all’altra delle figure
molto dannose alla Chiesa, imponendo soggetti che però fanno parte del
suo cosiddetto «cerchio magico», o che sono riusciti a godere delle sue
simpatie prive di prudenza e soprattutto di quel senso del governo
illuminato dalla grazia dello Spirito Santo in virtù del quale, ormai da
anni, l’uomo Jorge Mario Bergoglio avrebbe dovuto cessare di essere
tale per essere solo ed unicamente il Sommo Pontefice Francesco I,
fedele servum servorum Dei.
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Vogliamo usare in tal senso un paradigma anch’esso
non passibile di facile smentita, per chiarire in qual misura questo
Pietro non abbia mai abbandonato il proprio essere stato in precedenza
Simone? Presto detto: il Pontefice regnante, ignorando o forse fingendo
d’ignorare che egli è, tra le varie cose, anche Sovrano Capo di uno
Stato che col proprio chilometro quadrato di territorio garantisce la
preziosa indipendenza del Romano Pontefice da qualsiasi potere politico
secolare, nel 2014 ci dona una delle sue splendide perle rinnovando —
ovviamente sotto i riflettori e con tanto di foto pubblicate e diffuse
[cf. QUI] — il passaporto della Repubblica Argentina (!?) [cf. vedere QUI].
Benediciamo quindi Dio se alle ultime elezioni, il cittadino Jorge
Mario Bergoglio, all’anagrafe Sommo Pontefice e Vescovo di Roma di
professione, non si sia recato nel proprio Paese di origine a votare per
le elezioni presidenziali. E, detto questo, credo sia detto più o meno
tutto, a partire dal mio inciso iniziale di apertura: dall’epica
tragedia, quando si scivola nella decadenza, si finisce sempre nella
farsa della satira grottesca. E, sinceramente, noi ecclesiastici abbiamo
ormai superato le pagine più esilaranti degli antichi satiri romani.
Ma, come tutti i buffoni, siamo tali e ce ne vantiamo. E, più tentiamo
di prenderci sul serio, più il pubblico ride di noi, perché da sempre, a
partire dall’antico teatro, nulla è più comico e grottesco del buffone
che si prende parecchio sul serio. Il problema però è che se il pubblico
esterno ride divertito, i figli del buffone invece piangono; e piangono
di dolore, nel vedere il proprio amato e venerato padre cimentarsi in
siffatte e imprudenti buffonate, attraverso le quali sarà infine
affidato al severo giudizio della storia, oltre a quello forse ancòr più
severo di Dio. Ecco perché l’uomo Jorge Mario Bergoglio suscita
imbarazzo nei fedeli ma è esaltato dal mondo non cattolico e da tutti i
peggiori nemici di sempre della Chiesa: perché ci sta facendo
sprofondare nella satira. Non è vero che egli ha spogliata la Chiesa dei
suoi cosiddetti «orpelli principeschi rinascimentali», l’ha spogliata
giorno dietro giorno di divina dignità.
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Io che sono privo di ogni velleità
di carriera ecclesiastica e che al contrario del fitto esercito degli
ecclesiastici vigliacchi che tacciono “prudenti” in attesa di tempi
migliori ― al sorgere dei quali verranno alla luce per tentare poi il
gran salto sul carro del nuovo condottiero, nella speranza di poter
lucrare da lui ogni miglior beneficio e prebenda ―, mai cesserò di
dolermi di costoro che, con raro cinismo, dando ormai per finito questo
pontificato e attendendo pazienti la morte del Sommo Pontefice, non si
rendono conto, sia quanti aspirano al futuro episcopato sia quanti
aspirano al futuro cardinalato, che giorno dietro giorno, i danni recati
alla Chiesa, sono sempre più gravi. E, se tutto andrà bene, più andremo
avanti in questo stato degenerativo, più occorrerà tempo per riparare
solo parzialmente questi danni, con un rapporto di proporzione più o
meno di questo genere: a fronte di cinque anni di pontificato rovinoso
che sono però il risultato di cinquant’anni a monte di devastante rovina
sul piano dottrinale, liturgico ed ecclesiale, occorreranno cinquecento
anni per porre rimedio a questi danni di cui l’uomo Jorge Mario
Bergoglio non è affatto la causa, ma solo la conseguenza ultima.
Purtroppo, gli irriducibili aspiranti alle luci della ribalta, di tutto
questo non tengono conto, perché sono seriamente e stoltamente convinti
che basterà il prossimo conclave per chiudere quello che loro
definiscono con raro cinismo come un semplice “incidente di percorso”,
quindi voltare immediatamente pagina come se nulla fosse, ed in grande
stile. Questi sono i veri e diabolici distruttori della Chiesa, non
certo quel povero uomo imprudente di Jorge Mario Bergoglio, che di tutti
i decenni di pregressi danni compiuti, è soltanto la prima vittima, o
come ebbi a scrivere in un recente passato usando un’immagine
allegorica: egli è solo l’ultimo dei clienti giunto nel ristorante e che
appena varcata la soglia è stato aggredito dai camerieri che hanno
preteso da lui il pagamento dei conti di tutti coloro che prima di lui
avevano pranzato e cenato senza però pagare, ma lasciando fior di conti
sospesi.
.
Dalle Quattro Virtù Cardinali è
necessario passare alle tre virtù teologali, delle quali spesso ho
avuto modo di parlare nel corso di questi ultimi cinque anni, ricordando
che sebbene la più importante di esse è la carità, come ci insegna il
Beato Apostolo Paolo [cf. I Cor, 13], al centro di esse, tra la fede e
la carità, c’è la speranza, compito della quale, a mio parere, è di
unire e amalgamare le altre due grandi virtù. È quindi nell’ottica della
speranza che bisogna leggere questo pontificato, attraverso il quale
sembra che la Chiesa di Cristo viva paralizzata in un sempiterno Venerdì
Santo. Questo Pontefice e questo pontificato hanno una loro grande
utilità nella economia della salvezza, non sappiamo ancora quale, Però
sono certo che un giorno, forse neppure lontano, capiremo che persino
attraverso la umoralità e la palese imprudenza di questo Sommo Pontefice
che si palesa privo di equilibrio, Dio ha colmata la sua Chiesa di
grazie, l’ha purificata e messa nella condizione di rinnovarsi per
davvero.
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Nulla di questo possono però capire coloro che vivono alla giornata,
paralizzati nel presente, privi di quella grande prospettiva
escatologica futura che è la speranza, quella teologale virtù che lega
assieme la fede e la carità; e che infine ci salva, persino dopo essere
sprofondati nella satira, tra scimmie che giocano a fare le regine e
buffoni di corte che si credono degli autentici dottori della Chiesa, o
meglio … della “nuova Chiesa” nata da “rivoluzioni irreversibili”.
..
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